martedì 19 aprile 2011

Giancarlo Brignone




Giancarlo Brignone convive con la SLA dal 2006.
Per mano di un'amico, ha inviato a InfermierIN il suo video-testamento biologico affinché ne dessimo diffusione.
Giancarlo comunica con un comunicatore a puntamento oculare. Uscito dal silenzio, ha voluto far sentire la sua voce attraverso questa testimonianza forte nei contenuti ma che rispecchia il volere di molti malati di SLA.

Paolo Ravasin

Io PAOLO RAVASIN nato a Ceggia, in provincia di Venezia il quattro aprile 1960, attualmente ospite presso la Casa Soggiorno Villa delle Magnolie a Monastier, in provincia di Treviso e sono stato adeguatamente informato, nel corso di approfonditi colloqui con il dottor Agostino Paccagnella (06.02.08) e il dottor Guido Zerbinati (06.02.08 e 13.02.08) alla presenza del dottor Camillo Barbisan Presidente del Comitato di Bioetica dell’ULSS 9, dell’evoluzione della mia malattia e della conseguente indicazione ai relativi trattamenti.
In particolare per quanto riguarda la possibilità di nutrirmi ed idratarmi. La mia ferma, convinta e documentata volontà in proposito è la seguente:”nel momento in cui non fossi più in grado di mangiare o di bere attraverso la mia bocca oppongo il mio rifiuto ad ogni forma di alimentazione e di idratazione artificiale sostitutive della modalità naturale.
Tale rifiuto è da ritenersi efficace anche nella circostanza in cui perdessi qualsivoglia capacità di esprimere e ribadire la mia volontà. Inoltre, a partire dal momento in cui non fossi più in grado di nutrirmi e idratarmi attraverso la mia bocca rifiuto la somministrazione di qualsiasi terapia medica destinata a trattare la malattia di cui sono affetto e oltre altre patologie sopravvenienti intese come complicazioni.
Accetto unicamente i farmaci necessari a trattare i sintomi dolorosi derivanti, in particolar modo, dalla disidratazione nella modalità di somministrazione che il mio medico – dottor. Guido Zerbinati o i suoi sostituti – riterrà appropriata. Affermo di essere stato informato e quindi sono pienamente consapevole delle conseguenze a cui mi espongo mediante tale rifiuto che tuttavia considero quale mia insuperabile manifestazione di volontà. Infine oppongo il mio rifiuto ad ogni trasferimento in strutture ospedaliere”.
Non essendo in grado di sottoscrivere materialmente tale documento a causa della mia infermità attribuisco al medesimo il valore di espressione della mia autentica volontà attraverso una videoregistrazione nel corso della quale ho letto la lettura di questo testo al quale ho dato oralmente il mio assenso e che viene sottoscritto dai testimoni presenti.

UMBERTO VERONESI

Io ho fatto il testamento biologico qualche anno fa, e per tre motivi. Per riaffermare le mie convinzioni sulla libertà di disporre della propria vita. Per l’amore profondo verso i miei familiari, che non voglio siano mai straziati dal dubbio sul che fare della mia esistenza. Per il rispetto verso i medici che si prenderanno cura di me. Ho voluto anche renderlo pubblico: «Io sottoscritto Umberto Veronesi, ..., nel pieno delle mie facoltà mentali e in totale libertà di scelta, dispongo quanto segue: in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico o di sostegno (nutrizione e idratazione)... Queste mie volontà dovranno essere assolutamente rispettate dai medici che si prenderanno cura di me...».

Considero il testamento biologico l’atteggiamento più corretto soprattutto verso i medici curanti, cioè verso chi si troverà, concretamente, ad avere la responsabilità terapeutica di un individuo non più consapevole. Nel febbraio 2009 il giurista Stefano Rodotà, argomentando intorno al caso di Eluana Englaro, ha scritto: «Proprio nell’art. 32 il tema della costituzionalità della persona si manifesta con particolare intensità. Dopo aver considerato la salute come diritto fondamentale dell’individuo, si prevede che i trattamenti obbligatori possono essere previsti solo dalla legge, e tuttavia “in nessun caso” possono violare il limite imposto dal “rispetto della persona umana”. E’, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo ancora di quello previsto dall’articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’articolo 32 si va oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, della necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte all’indicibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure coralmente espressa da tutti i cittadini o da un parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell’interessato. Siamo di fronte a una sorta di nuova dichiarazione di Habeas corpus, a un’autolimitazione del potere».

Il testamento biologico, che certifica la volontà dell’interessato, è quindi lo strumento più adatto a far sì che nessuna volontà esterna possa prevalere. A questo principio si ispirò nel 1997 la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, il cui articolo 9 prevede che vengano tenuti in considerazione «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà». Per quanto riguarda il nostro Paese, il 18 dicembre 2003 il Comitato nazionale per la bioetica approvò un documento in cui si auspicava un intervento del legislatore volto a obbligare il medico a prendere in esame le dichiarazioni anticipate di volontà e a motivare ogni diversa decisione in cartella clinica. Purtroppo tutto si è fermato per il timore, da parte di chi è contrario all’eutanasia, che proprio il testamento biologico le aprisse un varco.

Così nella primavera del 2010, mentre una perfetta operazione mediatica presentava con grande risalto l’entrata in vigore della legge che organizza e finanzia le cure palliative, alla Camera, dov’è in gestazione la legge sul testamento biologico, passava tra le proteste di pochi un emendamento che inficia gravemente il diritto all’autodeterminazione del paziente: alimentazione e idratazione artificiali non possono costituire oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. Se dovessero risultare inutili o dannose, saranno i medici a decidere.

Ma i cittadini italiani vogliono veramente affidare ai medici la decisione su come desiderano morire? Tramite la Fondazione Veronesi, all’inizio del 2007 volli affidare la risposta a un sondaggio, che è stato effettuato su un campione significativo di 4300 maggiorenni, e realizzato dall’Ispo, l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione. Prima di parlare degli altri aspetti emersi dalla ricerca, mi sembra fondamentale rispondere alla domanda più importante, che il legislatore non può far finta di ignorare: a chi spetta la decisione? Agli intervistati è stato sottoposto un quesito molto dettagliato: «Se una persona è affetta da una malattia o lesione cerebrale irreversibile che le impedisce di esprimere la sua volontà e la costringe alla dipendenza da macchine, a chi dovrebbe aspettare la decisione di non somministrare o eventualmente sospendere i trattamenti che la tengono artificialmente in vita?».

Ebbene, ecco le risposte: solo il 5% degli intervistati ha detto che la decisione spetta al medico che ha in cura il paziente (in ospedale, in reparto di rianimazione, a casa), mentre il 50% ha risposto che la decisione spetta al paziente che ha espresso la proprio volontà in merito quando ancora era in piena lucidità mentale. Questa risposta è stata data dalla metà di coloro che si erano posti il problema e dal 40% di coloro che non se l’erano mai posto. Questa risposta mi sembra assolutamente illuminante e nettamente prevalente rispetto alle altre, che comunque riporto: il 20% ha risposto che la decisione spetta a un familiare (coniuge/genitore/figli o altri parenti), il 20% che la decisione non spetta a nessuno perché «la vita è un dono e bisogna fare di tutto per tutelarla», un altro 5% affida la decisione «a una commissione etica di esperti», e un residuo 1% «a un giudice/magistrato».

Il brano che pubblichiamo è tratto dal nuovo libro di Veronesi «Il diritto di non soffrire» (Mondadori)
TRATTO DA