venerdì 20 luglio 2007

Carlo

Venerdì 20 Luglio 2007 18:46

Ricordo, come se fosse accaduto ieri, la disperata telefonata di mia madre, i 300 metri di distanza fra la mia casa e quella dei miei genitori percorsi di corsa, col cuore in gola, le manovre rianimatorie praticate, con l’aiuto di mio fratello, su mio padre accasciato esanime sul pavimento, l’arrivo dell’ambulanza, il cuore che riprende a battere dopo la defibrillazione, il trasporto in rianimazione e il seguito. Miracolosamente mio padre non è morto.
Ma non ha più ripreso conoscenza (se non qualche barlume) ed ha vissuto per altri 6 anni praticamente in uno stato vegetativo, alimentato attraverso una PEG (una sonda di gomma posizionata nello stomaco direttamente attraverso la parete addominale).Più di una volta mi è capitato di vedere in televisione, un padre che ha avuto la disgrazia che una figlia, da ragazza, a seguito di un incidente, vive, da anni, in uno stato vegetativo. Egli, ogni volta,con disperata determinazione (e anche con una punta di acredine) chiede che gli venga riconosciuto il diritto di sospendere l’alimentazione alla figlia, nella certezza che anch’ella , se potesse esprimersi, se avesse potuto redigere un testamento biologico, non accetterebbe una vita di questo tipo ritenuta indegna di un essere umano. Giuro di non aver mai formulato un giudizio su questa persona per rispetto del suo immenso dolore, ma non nascondo che la sua testimonianza mi ha sempre straziato il cuore e mi ha lasciato annichilito.La nostra esperienza è stata assai diversa: abbiamo riparametrato un po’ la nostra vita per essere più presenti, abbiamo potuto contare sul supporto di una brava badante, di alcuni parenti, abbiamo ritrovato una mamma eccezionale che, senza mai un lamento, senzauna recriminazione, mantenendo una serenità esemplare, con naturalezza ha svolto il suo ruolo di sposa restando accanto al papà ogni santo giorno. Quando parlavo della situazione di mio padre con amici e colleghi, percepivo che pensavano che fosse capitata la situazione peggiore e intuivo che, per loro e per i loro cari, avrebbero auspicato la morte piuttosto che uno stato vegetativo cronico. Per noi non è stato così: abbiamo vissuto 6 anni abbastanza sereni che oserei definire “normali” e quando un attacco cardiaco ci ha portato via il papà, abbiamo sofferto come si soffre quando si perde una persona cara che viveva accanto a te.Tante volte ho riflettuto sul fatto che, se fossi arrivato da mio padre pochi minuti dopo, sarebbe morto e che, se fossi arrivato pochi minuti prima, non avrebbe avuto quel danno anossico devastante e mi sono chiesto quale era il disegno della Provvidenza, senza riuscire a comprenderlo. A distanza di tempo mi pare di intuire qualche traccia di tale disegno: l’esempio sublime della mamma, la famiglia ancor più compattata dal momento di difficoltà, il coinvolgimento anche dei nipoti, la partecipazione affettuosa di parenti e amici, la frenesia della vita un po’ ridotta per aspettare chi va più piano e soprattutto la sensazione che da quella esperienza siamo usciti tutti un po’ più buoni.A questo punto mi chiedo (come si stanno chiedendo in molti sulla stampa) come un testamento biologico possa prefigurare scenari futuri non prevedibili, come possa cogliere le differenze nell’ambito delle stesse patologie, come possa immaginare le differenze di contesto in cui un evento può accadere, come quindi possa essere degno di credibilità.Oltre a questo motivo (la sua palese inadeguatezza) ce ne è un secondo, per me ancor più profondo, che mi fa dire no al testamento biologico: mi sembra un tentativo maldestro e illusorio di poter essere determinanti sul corso della nostra vita e della nostra morte mentre, a mio avviso, la condizione naturale dell’uomo, su questa terra, è rispecchiata molto meglio dalle parole del poeta “ si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.Per questo, il mio testamento biologico è: “Padre nostro, che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà”.

Carlo